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Il cuore della nuova CBT: le emozioni

Dalla CBT classica alla nuova prospettiva

Negli ultimi quarant’anni la terapia cognitivo-comportamentale (CBT) si è affermata come il trattamento psicologico più studiato e validato al mondo. La sua efficacia è stata dimostrata da centinaia di trial clinici e da numerose meta-analisi, che ne hanno confermato il ruolo di intervento di prima scelta per depressione, disturbi d’ansia, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi alimentari e disturbi di personalità (Hofmann et al., 2012).

Per lungo tempo il cuore della CBT è stato individuato nel rapporto tra pensieri, emozioni e comportamenti, con l’obiettivo di modificare credenze disfunzionali e interrompere pattern di evitamento. Questo approccio ha rappresentato una svolta storica, permettendo a milioni di persone di ridurre sintomi e migliorare la qualità della vita.

Oggi, tuttavia, la CBT sta vivendo un’evoluzione significativa. Le ricerche neuroscientifiche e cognitive hanno mostrato che i sintomi non possono essere compresi se non si considera il ruolo centrale delle emozioni di base. Paura, colpa, vergogna, disgusto e tristezza non sono semplici derivazioni di schemi cognitivi, ma processi primari radicati nei circuiti cerebrali. La nuova CBT non si limita più a ridurre i sintomi, ma mira a trasformare il modo in cui le persone vivono e regolano le proprie emozioni fondamentali.

Dalla riduzione dei sintomi alla trasformazione emotiva

Il modello classico di CBT puntava soprattutto a ridurre i sintomi osservabili. Un paziente con ansia veniva aiutato a ridurre le preoccupazioni, uno con depressione a contenere i pensieri negativi, uno con DOC a interrompere i rituali compulsivi. Questi obiettivi restano importanti, ma oggi sappiamo che non bastano.

La riduzione dei sintomi può avvenire senza un reale cambiamento dei processi emotivi sottostanti, e questo spiega perché in molti casi la vulnerabilità al disturbo resti elevata e il rischio di ricaduta concreto (Etkin & Wager, 2007). Se un paziente con fobia sociale impara a mettere in discussione i propri pensieri catastrofici ma continua a percepire la vergogna come intollerabile, è molto probabile che i sintomi si ripresentino.

La nuova CBT propone quindi un cambio di paradigma: non basta eliminare i sintomi, è necessario trasformare la relazione con le emozioni.

Le emozioni come processi transdiagnostici

Le ricerche transdiagnostiche hanno mostrato che la sofferenza psicologica si organizza attorno a un nucleo comune di emozioni di base (Harvey et al., 2004). Paura, colpa, vergogna, disgusto e tristezza ricorrono in modo trasversale a diverse diagnosi, attraversando i confini del DSM.

Questa visione spiega perché le stesse tecniche terapeutiche possano essere efficaci in disturbi diversi: l’esposizione funziona nel DOC come nelle fobie, la ristrutturazione cognitiva è utile nella depressione come nei disturbi d’ansia, la mindfulness favorisce la regolazione emotiva in condizioni differenti. Lavorare con le emozioni significa quindi lavorare con i processi che accomunano molti disturbi.

Neuroscienze delle emozioni

Le neuroscienze affettive hanno chiarito che le emozioni sono radicate in circuiti cerebrali distinti. La paura coinvolge l’amigdala, l’ippocampo e la corteccia prefrontale; la colpa si associa a un’attività eccessiva della corteccia prefrontale ventromediale e del cingolo anteriore; la vergogna attiva la corteccia prefrontale mediale e l’insula; il disgusto è fortemente legato all’insula anteriore; la tristezza patologica, infine, si accompagna a iperattività limbica e ipoattività dei circuiti della ricompensa (Phillips et al., 1998; Mayberg, 2003; LeDoux, 2014; Shin et al., 2000; Matos et al., 2013).

Questi risultati spiegano perché emozioni come disgusto o vergogna non possano essere semplicemente eliminate con il ragionamento, ma richiedano interventi che agiscano sui processi emotivi stessi.

Neuroscienze cognitive: emozioni e pensiero

Le emozioni non sono solo stati affettivi, ma plasmano profondamente attenzione, memoria e giudizio. La paura amplifica i bias attentivi verso le minacce, la colpa alimenta la ruminazione retrospettiva, la vergogna concentra l’attenzione sui segnali di giudizio sociale, il disgusto induce generalizzazioni percettive, la tristezza riduce memoria di lavoro e concentrazione, favorendo la ruminazione (Beck & Haigh, 2014).

Queste evidenze hanno portato la nuova CBT a non concentrarsi soltanto sul contenuto dei pensieri, ma sui processi cognitivi alterati dalle emozioni.

Tecniche CBT orientate alle emozioni

L’integrazione tra neuroscienze, scienze cognitive e clinica ha portato a una revisione delle tecniche terapeutiche. L’esposizione, ad esempio, viene oggi compresa alla luce dell’apprendimento inibitorio: non si tratta di cancellare la paura, ma di costruire nuove tracce mnestiche che insegnano al cervello la tollerabilità delle emozioni (Craske et al., 2014).

La colpa viene affrontata non solo con la ristrutturazione cognitiva, ma anche con pratiche di compassione e auto-accettazione. La vergogna si lavora attraverso esposizioni interpersonali e accettazione delle vulnerabilità. Il disgusto viene modulato tramite ERP e training interocettivo, che insegnano a tollerare la repulsione senza neutralizzarla. La tristezza si affronta con la Behavioural Activation, che stimola la riattivazione dei circuiti della ricompensa attraverso attività significative.

Una nuova visione della psicoterapia

La nuova CBT si presenta come un modello che integra evidenze empiriche, neuroscienze e scienze cognitive, mantenendo sempre un forte orientamento clinico. Il suo cuore non è più soltanto la correzione dei pensieri o la riduzione dei sintomi, ma la trasformazione del rapporto con le emozioni fondamentali.

In questa prospettiva, paura, colpa, vergogna, disgusto e tristezza non sono più solo il problema da eliminare, ma la via maestra attraverso cui passa il cambiamento terapeutico. È proprio il lavoro diretto con queste emozioni a garantire un miglioramento duraturo, una maggiore flessibilità psicologica e una qualità di vita più ricca e significativa.

Il 17 ottobre, al webinar online lavorare con le emozioni in terapia cognitivo-comportamentale, esploreremo insieme questi argomenti, discutendo come possano diventare strumenti quotidiani per trasformare il lavoro clinico.

Bibliografia

    • Beck, A. T., & Haigh, E. A. P. (2014). Advances in cognitive theory and therapy: The generic cognitive model. Annual Review of Clinical Psychology, 10, 1–24. https://doi.org/10.1146/annurev-clinpsy-032813-153734
    • Craske, M. G., Treanor, M., Conway, C. C., Zbozinek, T., & Vervliet, B. (2014). Maximizing exposure therapy: An inhibitory learning approach. Behaviour Research and Therapy, 58, 10–23. https://doi.org/10.1016/j.brat.2014.04.006
    • Etkin, A., & Wager, T. D. (2007). Functional neuroimaging of anxiety: A meta-analysis of emotional processing in PTSD, social anxiety disorder, and specific phobia. American Journal of Psychiatry, 164(10), 1476–1488. https://doi.org/10.1176/appi.ajp.2007.07030504
    • Harvey, A. G., Watkins, E., Mansell, W., & Shafran, R. (2004). Cognitive behavioural processes across psychological disorders: A transdiagnostic approach to research and treatment. Oxford University Press.
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    • Phillips, M. L., Senior, C., Fahy, T., & David, A. S. (1998). Disgust: The forgotten emotion of psychiatry. British Journal of Psychiatry, 172(5), 373–375. https://doi.org/10.1192/bjp.172.5.373
    • Shin, L. M., Dougherty, D. D., Orr, S. P., Pitman, R. K., Lasko, M., Macklin, M. L., … Rauch, S. L. (2000). Activation of anterior paralimbic structures during guilt-related script-driven imagery. Biological Psychiatry, 48(1), 43–50. https://doi.org/10.1016/S0006-3223(00)00827-6
    • Segal, Z. V., Williams, J. M. G., & Teasdale, J. D. (2013). Mindfulness-Based Cognitive Therapy for Depression (2nd ed.). Guilford Press.

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